#EDT_il giornalismo che fa spettacolo.


Editoriale

Il giornalismo è in crisi.

Televisione, mezzi di informazione tradizionali – stampa, televisione e radio – e nuovi media, si dichiarano plurali e liberi ma, secondo Reporter Senza Frontiere, l’Italia è finita al 73esimo posto della classifica della libertà di stampa, tra Moldavia e Nicaragua. Abbiamo perso ben 24 posizioni rispetto al 2013. Le intimidazioni criminali e le cause legali di diffamazione sono il motivo principale di questa perdita di posizione.

Ma la libertà di stampa non si misura solo con gli indici del World Press Freedom Index.

La cronaca, le opinioni, il moltiplicarsi delle colonne dei quotidiani e di siti internet, favoriscono un cortocircuito informativo.

Tra gli editori ossessionati dai click e dalle quote di mercato e i lettori sommersi da un ‘mare’ di notizie frammentarie ed incomplete, stanno i giornalisti spesso incapaci di raccontare in modo approfondito, obiettivo e vero.

La spettacolarizzazione dell’informazione, assieme alla rapidità con la quale le notizie sono presentate al lettore, la tendenza a confondere dati ed opinioni, hanno effetti di non trascurabile entità sulla qualità di ciò che leggiamo.

Anche il meccanismo di selezione delle news compito da sempre arbitrario, si manifesta attraverso l’uso di parole come, terrorista, mostro, tragedia scandalo. Ci si limita a copiare modelli buoni per descrivere la politica di palazzo, le celebrità, lo show, il dramma e a riprodurli in serie, in tutti gli altri ambiti dell’informazione, anche quelli che richiederebbero un approccio differente.

Quasi mai, inoltre, la scelta del palinsesto e’ filtrata dalla rilevanza a lungo termine, quasi mai la notizia e’ data con il suo background, con il suo contesto.

La cronaca in Italia procede per “ellissi”.

Il caso della Libia é emblematico. Dopo l’intervento americano e l’uccisione di Mu’ammar Gheddafi (qui una scheda di Carlo Batà)  nel 2011, lo Stato nordafricano é scomparso dalle cronache per poi riapparire in questi giorni sui giornali a causa della ‘presa’ di Sirte da parte degli estremisti islamici dell’ IS.

L’era pre-internet era caratterizzata dalla necessità di comprendere, di essere padroni della tecnica e delle informazioni, l’attenzione era focalizzata ad uno spazio circoscritto. Oggi ci si sposta invece in orizzontale, tra immagini e testi, rimanendo in superficie, mobili e ubiqui ma esposti a facili derive generaliste. Un lettore lasciato solo tra un’ondata di informazioni e l’altra, deve rinunciare alla complessità e all’analisi. Deve rinunciare all’immersione.

Viviamo il tempo di «uno smantellamento sistematico di tutto l’armamentario mentale ereditato dalla cultura ottocentesca, romantica e borghese» scriveva Alessandro Baricco nel 2006 in un saggio intitolato “I Barbari”, parlando della nascita di una nuova specie di essere umano. L’uomo surfer contrapposto alla figura romantica dell’uomo palombaro.

E’ sempre più necessario un nuovo approccio e una nuova consapevolezza da parte di chi pubblica, legge o scrive.

Il potere ideologico della stampa – intesa nella sua accezione più ampia – é ancora estremamente importante. La capacità di plasmare l’immaginario e creare opinioni rimane una prerogativa della professione giornalistica e la scissione tra la notizia e tutto quello che le sta attorno e’ forse il primo motivo della perturbazione che l’universo informativo sta affrontando.

Se oggi il giornalismo é in crisi, non lo é forse, il ruolo del giornalista, che potrebbe ritrovare la propria identità e una nuova motivazione, tentando di colmare il vuoto mediatico riappropriandosi della capacita’ di disegnare nuove mappe logiche dell’ecosistema in cui viviamo.

E’ necessario che i professionisti si dotino della capacità di spiegare, analizzare e proporre un’informazione completa, vera e approfondita, che siano contemporaneamente capaci di mediare tra i fatti e l’attenzione del lettore, mantenendo vivo l’interesse per la conoscenza anche superando le stringenti logiche economiche e dell’audience che rimangono, comunque, imprescindibili.

di Francesco Polacchini

3 commenti Aggiungi il tuo

  1. mcc43 ha detto:

    Analisi molto veritiera. Mi riesce oscuro il punto in cui parla della Libia, sembra mancare qualcosa che colleghi il discorso con l’Iraq di Saddam, di cui pure si parla…

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    1. tuta ha detto:

      Ciao mcc43, Hai pienamente ragione non avrebbe dovuto essere un riferimento all’ l’iraq di Hussein ma alla Libia di Gheddafi. Se fosse solo riferito alla Libia ti sembrerebbe ancora senza collegamenti quella parte?
      Grazie

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      1. mcc43 ha detto:

        Collegatissima! Il più clamoroso caso di “febbre” mediatica seguita da una lunga catalessi.
        Confermata dai numeri dell’inizio dell’articolo, la frana della nostra informazione dà i brividi.
        Grazie a te per la risposta.

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